Decisori e attori territoriali a confronto su modelli organizzativi nel webinar proposto dall’Associazione nazionale per l’invecchiamento e la longevità attiva del Ministero della Salute

Il domicilio dei pazienti è la vera alternativa all’ospedale. In Italia però l’assistenza domiciliare è ancora sotto la media europea: ne beneficia infatti appena il 2,7% degli over-65 e per una media di 20 ore di prestazioni all’anno. In altri paesi del Vecchio Continente, la percentuale di anziani assistiti a casa si attesta fra l’8 e il 10%, con punte del 20%, e per una media che in Europa è di 20 ore, ma al mese.

Sono i dati emersi nel corso del webinar “Assistenza Domiciliare Integrata (ADI): ripensare modelli e strumenti a partire da quanto imparato in emergenza”, organizzato nei giorni scorsi da Italia Longeva, l’Associazione nazionale per l’invecchiamento e la longevità attiva del Ministero della Salute, che ha messo a confronto decisori e attori sul territorio su modelli organizzativi, competenze e strumenti per realizzare un’ADI più efficiente, accessibile e diffusa.

“Il Covid ha rivelato che l’assistenza domiciliare e, più in generale, le cure territoriali, rappresentano oggi la vera priorità di investimento in sanità per diminuire la pressione sugli ospedali e mettere questi ultimi nelle condizioni di fare il mestiere dell’acuzie per cui sono nati – afferma il Prof. Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva e membro della CTS della Protezione Civile -. Curare gli anziani fragili ‘a casa loro’ significa risparmi per il servizio sanitario e vantaggi per la qualità di vita degli assistiti, che possono essere garantiti da una sanità più flessibile, più prossima e tecnologicamente avanzata. Affinché ciò si realizzi, è necessaria anzitutto una presa di coscienza di know-how, competenze, metodologie; bisogna domandarsi quale sia il modello assistenziale generale di riferimento di quel grande “Pronto Soccorso della fragilità” che deve diventare l’assistenza a domicilio, e quindi investire in formazione e tecnologia”.

Dall’incontro è emerso che sono molte le aree su cui intervenire, a partire da due punti fermi: da un lato raccogliere le migliori pratiche nel paese, studiare questo patrimonio di esperienze virtuose (siano esse pubbliche, private o miste) e puntare a replicarle su più ampia scala; dall’altro valorizzare il necessario contributo della tecnoassistenza (teleassistenza, telemedicina, domotica, ecc.), che ha mostrato tutte le sue potenzialità anche in piena pandemia.

Accanto all’innovazione dei modelli organizzativi, supportata dalla formazione delle risorse umane, l’assistenza domiciliare richiede investimenti in tecnologia, che concorrono a promuovere una maggiore omogeneità dei processi assistenziali erogati e a innalzare gli standard qualitativi offerti.

“Abbiamo a disposizione apparecchi di monitoraggio a distanza che misurano quasi tutto dei parametri vitali di un paziente e capacità di intervenire sulle emergenze con una rapidità e un’accuratezza fino ad oggi impensabile -conclude il Prof. Bernabei -, oltre alla possibilità di offrire, da remoto, diverse prestazioni delle quali un gran numero di pazienti ha bisogno quotidianamente, massimizzando il costo-beneficio delle risorse. Il nostro sistema sanitario e assistenziale ha un’occasione imperdibile per ‘sdoganare’ la tecnoassistenza: pensare di organizzare la medicina del territorio a prescindere da questi strumenti d’avanguardia equivarrebbe a voler rilanciare il paese puntando sul fax o sul telefono a gettoni”.