
Uno studio francese sui roditori rivela la pericolosità di questi prodotti sul cervello
Appartenenti al grande gruppo dei pesticidi e dei biocidi e largamente utilizzati in campo agricolo sia nelle coltivazioni, sia sui prodotti raccolti (nonché in ambito forestale e nel mondo vegetale in generale), i cosiddetti fitofarmaci, già soggetti a specifiche regolamentazioni e normative sovrastatali, nazionali e locali, si sono rivelati incidenti sullo sviluppo dell’Alzheimer.
È quanto stabilisce un recente studio internazionale condotto sui roditori da alcuni ricercatori francesi e pubblicato sulla prestigiosa rivista dedicata alla salute ambientale “Environmental Health Perspectives” (“Prospettive di Salute Ambientale”). Per nove mesi consecutivi, infatti, i roditori sono stati direttamente esposti allo studio, con acqua da bere contaminata da una miscela di tre pesticidi (famiglia di fitofarmaci), ciprodinil, mepanipyrim e pyrimethanil. Quanto emerso è un particolare aumento dell’accumulo di placche amiloidi nel cervello delle cavie – placche amiloidi che rappresentano il marker (segno neurologico distintivo) dominante della malattia di Alzheimer.
Un risultato potenzialmente molto importante, poiché se, al livello ambientale e alimentare, la pericolosità dei pesticidi e dei biocidi è stata ben accertata e documentata da diversi studi nel corso dei decenni, nessuna ricerca aveva sinora rivelato un legame con l’accumulo di placche amiloidi, dunque con l’insorgenza e lo sviluppo della neuropatologia dell’Alzheimer.
“In primo luogo”, ha dichiarato la biologa Véronique Perrier, ricercatrice all’Università di Montpellier e coordinatrice dello studio, “abbiamo evidenziato, sul tessuto cerebrale dei topi, l’affinità di questi tre fungicidi con gli aggregati peptidici che formano le placche amiloidi. Con l’imaging, poi, siamo stati in grado di osservare in vitro che questi prodotti si erano concentrati precisamente al livello di questi aggregati peptidici”.
Nessun allarmismo eccessivo, tuttavia: i ricercatori ricordano infatti che i roditori sono stati esposti a livelli molto alti e diretti di concentrazioni fitofarmacologiche – non è così per l’essere umano, che, in quanto consumatore e parte dell’ambiente, risente di concentrazioni molto più basse.
Fonte: laSicilia.it