Nel nostro Paese due importanti ricerche per aumentare l’efficacia dei trattamenti

Al via in Italia alcune sperimentazioni per migliorare la lotta ai tumori. Nel mirino dei diversi gruppi di ricerca soprattutto studi per potenziare l’immuno-oncologia ed offrire ai pazienti che combattono contro tipologie tumorali particolarmente aggressive e spesso considerate “senza speranza”, nuove terapie cellulari in grado di migliorare la qualità e l’efficacia dei trattamenti.

Ad oggi infatti la strada della risposta immunologica, cioè indirizzata a sviluppare risposte da parte del sistema immunitario contro la diffusione delle neoplasie, sembra essere quella che fornisce i risultati più incoraggianti rispetto alle tradizionali chemioterapie, radioterapie o interventi chirurgici.

L’immunoterapia non agisce infatti sulle cellule tumorali ma va a stimolare e a potenziare la capacità del sistema di difesa immunitario di riconoscerle come estranee e quindi di contrastarne la proliferazione. Si tratta in larga parte di farmaci che modificano specifici recettori presenti sulle superfici dei linfociti ripristinando la loro capacità di produrre anticorpi.

L’immuno-oncologia oggi trova diversi campi di applicazione nel contrasto di diversi tumori metastatici: melanoma, tumore del polmone non a piccole cellule, linfoma di Hodgkin, carcinoma renale, tumori della testa e del collo, tumore squamoso della cute e tumore di Merkel. Tuttavia, i pazienti che traggono benefici da questa terapia oggi sono non più del 30-50% nelle diverse patologie. La ricerca mira ad aumentare lo spettro di azione e la risposta da parte degli ammalati.

Una delle strategie che vede impegnata la ricerca in Italia è quella di rendere le cellule tumorali più visibili al sistema immunitario. Vi sono ad esempio alterazioni chimiche del DNA che “spengono” l’espressione di alcuni geni, cruciali per l’interazione fra i linfociti T e il tumore. Si è sperimentato che queste mutazioni epigenetiche possono essere contrastate con farmaci di vecchia generazione, chiamati ipometilanti. Su questa ipotesi di ricerca è partita in questi giorni uno studio promosso da Fondazione NIBIT, coordinato dal Centro di Immuno-Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Siena, su 160 pazienti, 80 con melanoma avanzato e 80 con tumore del polmone, che non hanno risposto a un precedente trattamento immuno-oncologico.

“L’obiettivo”, conferma il direttore del Centro senese Michele Maio intervistato dalla redazione di Corriere.it, “è quello di analizzare l’efficacia della combinazione di Nivolumab e Ipilimumab con una molecola ipometilante. Anche nel mesotelioma, tumore raro con un fortissimo legame all’esposizione professionale alle fibre di asbesto, su cui il nostro gruppo di Siena ha sviluppato i primi studi al mondo di immunoterapia con anticorpi diretti contro differenti check-point immunologici”, aggiunge Maio, “il potenziamento del sistema immunitario con Nivolumab e Ipilimumab sta portando, per la prima volta, al superamento dell’approccio standard che per anni è stato rappresentato dalla chemioterapia”.

A rafforzare questa ipotesi ci sono i risultati in via di pubblicazione di una metanalisi condotta su un campione significativo di oltre 1.300 pazienti del reparto di Oncologia Medica B del Policlinico Umberto I di Roma. Il direttore del nosocomio romano, Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza, Paolo Marchetti conferma che “quelli trattati con Ipilimumab e Nivolumab hanno avuto vantaggi rispetto ad altrettanti pazienti trattati con solo Nivolumab, indipendentemente dal tipo di tumore”.