Studiosi danesi hanno ipotizzato che la malattia possa generarsi oltre che nel cervello anche nell’intestino

Potrebbero esistere due forme diverse di morbo di Parkinson. È la principale conclusione emersa da uno studio clinico pubblicato sulla rivista specializzata Brain dai ricercatori dell’Università di Aarhus (Danimarca).

Questa ipotesi potrebbe spiegare come mai questa patologia neurodegenerativa che nel mondo si stima colpisca, insieme alle altre forme più o meno gravi di demenza, circa 50 milioni di persone (in Italia circa 1 milione e 270mila sono i soggetti interessati, prevalentemente over 65 anni), presenti un’ampia gamma di sintomi che producono nello stato avanzato della malattia il caratteristico disturbo nel controllo del movimento e dell’equilibrio (i tremori articolari, l’incertezza nella camminata, l’instabilità posturale).

Il Parkinson è dovuto ad un accumulo di una proteina che danneggia in particolare i neuroni presenti nella zona grigia del cervello, riducendo in particolare la produzione del neurotrasmettitore dopamina che sovraintende alle principali funzioni motorie.

Secondo il nuovo studio il percorso degenerativo non è univoco: uno parte dal cervello e un altro dall’intestino. I ricercatori danesi hanno sottoposto a tomografia a emissione di positroni (PET) o risonanza magnetica (MRI) 37 pazienti con Parkinson o considerati a rischio di Parkinson perché, per esempio, affetti da disturbi nel sonno REM, un tratto che può anticipare l’esordio della malattia. Le analisi hanno evidenziato due percorsi nell’esordio della malattia corrispondenti ad altrettante varianti. In alcuni pazienti era evidente un danno ai neuroni della dopamina prima ancora che insorgessero danni al cuore e all’intestino – alcuni dei problemi non motori caratteristici della malattia. In altri, gli esami hanno mostrato danni al sistema nervoso dell’intestino (incaricato di governare le funzioni digerenti) e al cuore ancora prima che comparissero danni al cervello.

Aver individuato queste due varianti brain-first e body-first secondo gli studiosi aprirebbe nuove prospettive di trattamento precoce per i malati. Da tempo si sa che le persone con Parkinson mostrano un microbiota intestinale (flora batterica) con una composizione particolare, diversa rispetto ai sani. Nel caso di variante body-first, si potrebbe cercare di capire se esistano modi di arginare la malattia prima che dal sistema nervoso enterico (cioè dell’intestino) arrivi a coinvolgere il cervello con le conseguenti devastazioni a livello del sistema nervoso centrale.