Una ricerca europea evidenzia la relazione tra le difficoltà ad orientarsi nel buio e l’insorgenza della malattia neuro degenerativa
Uno studio messo in campo da un’équipe di neurofisiologi tedeschi, spagnoli, italiani e belgi pubblicato sulla rivista specializzata Science Advances ha appurato che i soggetti con una predisposizione genetica a sviluppare il morbo di Alzheimer mostrano minori capacità di orientamento nell’ambiente rispetto alle altre persone.
Si tratta di una importante scoperta che potrebbe contribuire a diagnosticare questa grave patologia neuro degenerativa in fase precoce (prima della comparsa di qualsivoglia sintomo grave) e ad avviare tempestivamente le cure.
Gli studiosi si sono accorti che le cellule della corteccia entorinale dislocata nel lobo temporale del cervello sono tra le prime ad essere colpite quando si sviluppa l’Alzheimer. In quet’area celebrale vengono gestite dal nostro organismo le funzioni che riguardano la capacità di orientarsi nello spazio.
“Se vi alzate la notte e volete andare in bagno senza accendere la luce, vi serve, oltre a conoscere bene la casa, un meccanismo che monitori la vostra posizione nella stanza senza l’ausilio di segnali esterni”, si legge nel comunicato stampa della Università della Ruhr a Bochum che riporta le parole dell’autrice dello studio Anne Bierbrauer. “Questa capacità è nota come path integration (integrazione di percorso)”.
I ricercatori hanno elaborato una simulazione computerizzata di orientamento nella quale i partecipanti dovevano trovare il proprio percorso in totale assenza di punti di riferimento esterni. All’esperimento hanno partecipato 202 volontari che non presentavano rischi genetici di sviluppare il morbo e altri 65 volontari con tale rischio. I risultati hanno dimostrato che i soggetti predisposti si orientavano peggio rispetto al gruppo di controllo.
Poi gli scienziati hanno ripetuto l’esperimento registrando in parallelo l’attività cerebrale dei partecipanti con l’ausilio della risonanza magnetica funzionale per appurare quali processi cerebrali avevano avuto un ruolo apicale nella integrazione di percorsi da parte dei soggetti impegnati nell’esperimento.
In questo modo hanno avuto la conferma non solo che l’orientamento senza segnali esterni dipende completamente dall’azione delle cellule della corteccia entorinale ma anche che, nella quasi totalità dei casi relativi a soggetti ancora sani ma geneticamente predisposti a sviluppare il morbo, tale attività era fortemente carente.
In futuro, suggeriscono gli autori della ricerca, per aiutare i medici a diagnosticare l’insorgenza del morbo di Alzheimer si dovrà monitorare anche la capacità di orientamento dei soggetti a rischio.